Può un'azienda ripartire quasi da zero, con una produzione da riavviare e i conti da far quadrare in anni di crisi a fasi alterne, e farlo sulle ali della responsabilità sociale esterna a beneficio del territorio?
Vale la pena partire da una domanda, per raccontare la storia, soprattutto quella recente, della storica distilleria Casoni di Finale Emilia, provincia estrema ad est di Modena. Di certo la risposta è che può accadere, anche nel contesto di uno spaccato economico tipico del nostro Paese radicato anche nelle «periferie» più lontane, come quella emiliana, già falcidiata dal terremoto del 2012. A Finale Emilia era i11814 quando Giuseppe Casoni avviò la sua produzione di distillati: una piccola fabbrica, in cui produceva l'Anicione, con altri suoi derivati, uno di quei liquori che ingolosiscono quando sono accompagnati da due o tre chicchi di caffè, e che all'epoca venivano venduti in un piccolo negozio di famiglia, uno dei primi al dettaglio. Eccolo, l'inizio di una storia tutta italiana. Mettendo da parte i
prodotti locali e ingredienti a km zero (come l'anice verde) lo è soprattutto nella sua genesi. Il Paese ora come allora fonda la sua economia sulle piccole e medie imprese, specie quelle familiari. In tutto il mondo la storia delle distillerie affonda radici nel passato più antico e qui, nel 180o come all'estero, sono nati i grandi marchi che ancora oggi campeggiano sui banconi di pub e ristoranti o nelle case, l'Italia era già in prima linea: è un esempio, perché è accaduto spesso e di certo non solo nel settore delle distillerie, grazie all'impulso delle imprese di famiglia.
«Oggi siamo alla settima generazione - racconta Paolo Molinari amministratore delegato di Casoni - l'azienda è sempre stata gestita dalla famiglia Casoni, fin quando nel 2005 mio zio Mario Casoni, imprenditore che fu anche insignito dell'onorificenza di Cavaliere del Lavoro, la cedette». Nel mentre nell'arco di quasi due secoli, Casoni aveva acquisito l'iconico «Braulio» e il limoncello di Sorrento espandendosi anche all'estero. Poi venne acquisita da Averna, che la cedette a un gigante, il Gruppo Campari. A metà delle scorso decennio però tra le distillerie di Finale iniziò ad aggirarsi lo spettro della chiusura. La svolta arrivò a cavallo tra 2014 e 2016. «Durante una vacanza in Inghilterra - racconta Molinari - io e il mio socio Pier Giorgio Pola decidemmo di acquistare l'azienda, gettando il cuore oltre l'ostacolo, dopo una lunga trattativa con Campai, ripartimmo come una startup, ma forti di uno know how fondato su 210 anni di storia. Oggi a otto anni di distanza possiamo contare su 8o addetti e una filiale in Inghilterra, dove vendiamo le nostre sambuche e limoncelli».
Ma come detto, il senso di questa storia passa anche dalle ricadute positive sul territorio. A Finale Emilia ha sede l'Associazione di promozione sociale Rulli Frulli che si occupa di inclusione delle persone con disabilità, fondata da Federico Alberghini, direttore dell'omonima banda, oramai nota, che fa risuonare oggetti di recupero dal 2009. E che nella «Stazione Rulli Frulli» all'interno di Astronave Lab permette a ragazze e ragazzi di intraprendere percorsi di inserimento lavorativo che passano dalla trasformazione e dal riuso degli oggetti vecchi. «Abbiamo deciso di sposare e sponsorizzare questo progetto - racconta Molinari - pagando a ragazze e ragazzi alcune borse lavoro. Crediamo nel principio etico della responsabilità sociale d'impresa, siamo iscritti anche all'apposito registro delle imprese di Modena». E infine vale la pena ricordare che un'azienda per rinascere, pur con 210 anni di storia alle spalle, deve guardare al futuro. «Siamo una delle 100 aziende più sostenibili in Italia sotto i 250 milioni di euro di fatturato. Produciamo il 100% di energia da fonti rinnovabili, il 40% l'auto produciamo, per esempio con i pannelli solari. E le bottiglie, quelle dei gin e degli altri distillati sono realizzate con materiali riciclati e riciclabili»